Libia. Oltre quarant’anni di doppiezza paranoide

di Emanuele Pecheux

La Baronessa Catherine Ashton di Upholland con il suo ovale molto british che ricorda la romantica donna inglese di Enrico Montesano, è l’icona vivente dell’incapacità dell’ Europa a fare fronte comune nell’ennesima crisi internazionale, la più grave dalla fine della guerra fredda.
Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, in parole semplici ministro degli esteri europeo, Milady fu nominata a succedere allo spagnolo Javier Solana alla fine del 2009, al termine di estenuanti trattative che videro prevalere l’indirizzo del politicamente agonizzante premier britannico Gordon Brown, e subito definita, con teutonica brutalità dalla Bild Zeitung, autorevole giornale tedesco, “Frau None”, signora nessuno.
I fatti hanno dato ragione a i molti che videro quella scelta la rappresentazione plastica della fragile costruzione dell’UE, incapace, al di la delle questioni finanziarie e monetarie, sulle quali tuttavia permangono gravi incognite e divisioni, di trovare punti di sintesi legati alla definizione di una propria identità politica e dunque alla costruzione di strategie diplomatiche condivise e degne di questo nome.

In verità un simile scenario era apparso evidente nei primi anni 90 allorché deflagrò la crisi balcanica.
Le cancellerie europee furono colte di sorpresa, non riuscirono a trovare un idem sentire per costruire uno straccio di exit strategy diplomatica alla mattanza nella ex Jugoslavia e le castagne dal fuoco, more solito, le tolsero gli Stati Uniti prima con gli accordi di Dayton e poi con il muscolare intervento militare su Belgrado.
Le soluzioni trovate dagli Usa, tuttavia, non hanno risolto il problema, posto che, sotto la cenere di una forzosa pacificazione, continua a covare in quelle popolazioni un mai sopito revanscismo.
Vent’anni dopo, mutatis mutandi, l’inadeguatezza dell’UE nell’ affrontare univocamente le crisi dei paesi islamici che affacciano sul Mediterraneo, si è riproposta clamorosamente. La differenza da allora è che le conseguenze degli accadimenti nel Maghreb saranno sicuramente più gravi rispetto alla disintegrazione della ex Jugoslavia.
I costi che i Paesi europei (in primis l’ Italia) che affacciano sul Mediterraneo dovranno sostenere saranno altissimi se, come ad oggi sembra, non si adotterà finalmente una politica comune, non tanto e non solo per prevenire la catastrofe umanitaria dei migranti che affluiranno sulle coste italiane (e siciliane) nelle prossime settimane, quanto piuttosto per il rischio di una deriva fondamentalista in quel teatro, con il fantasma di Al Quaeda che si allunga sull’intero bacino, da Suez a Rabat.
I governi europei e gli Usa, tutti, nessuno escluso, conoscevano benissimo l’illiberale efferatezza dei regimi di Gheddafi, Mubarak e Ben Ali, senza dire dell’algerino Boutifka e della dinastia reale marocchina, e tutti, nessuno escluso, negli anni hanno stretto accordi e fatto affari con i vari Rais in nome della realpolitik, guardandosi bene dall’immaginare un futuro che prescindesse da loro.
Quel futuro che dall’inizio dell’anno tale non è più.
Sotto questo profilo è francamente surreale che in Italia l’opposizione si chiami fuori dalle responsabilità in relazione alla crisi libica, addossando tutto il carico di colpe (che pure, indubitabilmente, ha) a Berlusconi e al suo governo.
E’ da 42 anni, tanti ne sono passati da quando il rais libico è al potere, che il rapporto tra Italia e Libia è improntato ad una schizofrenica doppiezza.
Ma, per essere chiari, con tutti i governi nazionali con cui ha trattato, la danza l’ha sempre menata il colonnello beduino, forte della ricchezza costituita da petrolio e gas e di un’infinita disponibilità finanziaria che ne è derivata, al punto di insediarsi con società a lui riconducibili in quasi tutti i gangli della fin troppo ospitale economia italiana.
In questi giorni, mentre si festeggia giustamente il 150° dell’Unità nazionale e passa sotto colpevole silenzio il centenario dello sbarco tardocolonialista a “Tripoli, bel suol d’amore”, origine del senso di colpa degli italiani verso i libici su cui Gheddafi ha giocato per lustri come al gatto col topo, troppe sono le voci stonate entro i nostri confini, che non facendo i conti con la storia, si attaccano, ad esempio, alla gaffe (una delle tante) del Premier che fa il baciamano al Rais, cercando di nascondere le responsabilità del mantenimento ultradecennale di una bilateralità paranoide con il Tiranno.
La soluzione del sanguinolento rebus maghrebino si presenta dunque quantomai complessa e irta di incognite a causa del prevalere in Europa di egoismi nazionali a tinte xenofobe e della patente ambiguità della posizione italiana che potrebbe essere superata unicamente da un cambio di marcia di azione diplomatica nel rapporto con i partners europei.
Strategia che l’attuale governo, con un Premier che definire anatra zoppa è usare un eufemismo, non ha alcuna possibilità di disegnare e perseguire avendo toccato il fondo, per le ben note ragioni, della non credibilità e autorevolezza.
Come vent’anni fa, agli ignavi europei e all’Italia, avanguardia di un disastro politico continentale, non resta che sperare nell’arrivo dello zio Sam o, se più vi aggrada, del Settimo cavalleggeri.
Che è poi la stessa cosa.

* Pezzo apparso su ARAI news n. 17 – Marzo 2011
Pubblicato su paroledisicilia.it per la cortesia di Emanuele Pecheux e Loredana La Malfa.

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