Orietta Falcone legge “Madonne con la Polaroid”, di Concetta Rundo

Entrando nel mondo spirituale di Concetta Rundo si ha la sensazione di ascoltare un’eco di sonorità, di sperimentazioni, di espressioni dell’anima millenarie e mediterranee, capaci di partire dalla grecità classica fino ad arrivare alla più stringente contemporaneità.
“Madonne con la Polaroid”, edito per i tipi di Sikè Edizioni, è la voce di un’anima che dispiega il suo legame ancestrale con il territorio nativo, e di conseguenza con il substrato culturale e antropologico sul quale riposa, senza passare ovviamente per le scorciatoie del plagio o del copiato, ma con riverente ispirazione verso la grandezza del nostro passato:
Concetta Rundo scrive: “Mi pare che tremi. / Per un’ unghia scalfita… E per le rughe del collo, …per una mano che stringe… per un bacio di nascosto,/per un braccio intorno ai fianchi. / Davvero tremi. E mi commuovi” [Concetta Rundo, Motel]
S’avverte un legame che si diparte dalla greca Saffo per arrivare al latino Orazio.

Saffo:
Subito a me il cuore si agita nel petto solo che appena ti veda e la voce si perde nella lingua tremante.

Orazio:
Ora il gradito riso traditore della fanciulla nascosta nell’angolo e il pegno d’amore strappato
alle braccia e al dito che male resiste.

Il canto di un’anima che attraversa secoli di poesia mediterranea, rende omaggio alla rarefatta spiritualità medievale, soprattutto al momento di disvelare con delicato pudore la propria profonda religiosità:
“Vergine nei fianchi/ donna di saggezza/ il Padre di Cristo/ la volle gravida di Sé./ China sui campi/ lavorava la terra,/ come l’umana natura/ fa nel suo grembo. / Nel suo ventre/ il seme restituisce il frutto,/ pane eterno/ e sangue di vita.” [C. R., Via Nazionale]
Dove viene operata una felice e probabilmente inconsapevole fusione tra il verso dantesco e quello nerudiano:

Dante:
“Vergine madre, figlia del tuo Figlio,/ umile e alta più che ogni creatura,/ termine fisso di etterno consiglio…”

P. Neruda:
“Il mio corpo di contadino selvaggio ti scava e fa saltare il figlio
dal fondo della terra…”

Ma il grido, lo slancio attraverso i secoli continua; il verso talvolta è consapevolmente involuto, volontariamente criptico e destrutturato:
“ … Sarai il mio pane in più/ quando il companatico costerà caro/ e avremo denti solo per tulipani e tenerumi./ Lo spezzerai con le mani/ prima di portarlo a tavola/ li annuserai con gli occhi/ prima di accorciarli e bagnarli./ Ti è passato il mal di testa? / Potrei baciarti le tempie.” [C. R., Doppio senso di circolazione]
Dove è chiaramente presente l’esperienza di Arthur Rimbaud e della poesia post rimbaldiana.
Ma il Novecento irrompe con prepotenza nell’esperienza della poetessa, si nutre della lezione dei poeti spagnoli della generazione del 1898 e del 1924:
“Mi annaffio da me,/ a forza di zibibbo/ di sillabari/ e vetro a perdere./ In case di fieno,/a tempo pieno/ ho trovato pane,/latte/ refugium peccatorum.” [C. R., Doppio senso di circolazione]
Laddove sono presenti suggestioni che partono da Federico Garcìa Lorca fino ad arrivare a Juan Ramon Jimenez.

Garcia Lorca:
“L’ombra della mia anima/ fugge per un tramonto di alfabeti/ nebbia di libri / e parole.”
“…Chiamami come vuoi,/ ma fai che la tua bocca/pronunci il mio nome/ con la potenza di un amen.”

Ma l’Autrice è una donna contemporanea che vive la sua e la nostra contemporaneità nella problematica di ogni sfaccettatura, stretta tra la fecondità di un passato da rimpiangere come un’epoca di innocenza perduta e l’apocalisse di un presente che incombe con la sua frenesia tecnologica, come in una visione post pasoliniana.
“Le mie calze spaiate/ le tue ad asciugare/ appese./ L’acqua bollita/ alle tre di notte,/ un rosario sul comodino/ e una farfalla./
Il vaso vuoto/ sul davanzale a est,/ nella veranda/ il gatto sente la pioggia che arriva./ Andrai a raccogliere nontiscordardité,/ l’ hai promesso giurando con le dita.” [C.R., Doppio senso di circolazione]
Qui la contemporaneità si fa intensa e dolorosa, il verso si avvolge e si strozza tra l’attonita presa di atto della realtà e la disperata ricerca di assoluto.
Versi molto vicini alla poetica di Dario Bellezza, più che di Alda Merini.

Dario Bellezza:
“In paradiso
ci andrai dritta, con vele bianche e la fanfara, io a stento ti terrò dietro sapendo di fermarmi molto prima.”

Originalissimo e unico l’accoppiamento tra la lettura e la musica. Lo suggerisce la stessa Autrice. Ad ogni lirica, ad ogni prosa va accoppiato un brano musicale, indicato alla fine.
Un tributo alla multimedialità e alla multicanalità contemporanea.
Proseguendo di questo passo e per aggiungere alla multicanalità e alla multimedialità, anche la multisensorialità, si potrebbe azzardare anche l’associazione di un tributo al gusto.
“Motel”, che l’Autrice accoppia a Prospettiva Nevskij di Alice, andrebbe bene centellinando una Grappa barricata monovitigno; “Stazione di servizio” ad un giovane prosecco o “Via Nazionale” ad un rosso corposo e intenso. A Polaroid n. 5 è forse possibile accoppiare un Porto Offley.

“Sono una libraia – librivendola pardon -, la neve mi mette di malumore e ho l’ossessione per i polsini puliti.
Ciononostante, indosso con una certa metodicità felpe di colore bianco con polsini a coste per giunta. I centimetri cubi di polvere che producono i libri sono incalcolabili, si infilano nel tessuto con un’ostinazione che neanche il trattamento con il sapone duro dà risultati. Mia madre sostiene che i muratori portino a casa vestiti più puliti dei miei. E’ lei che si occupa del bucato.
Vorrei spiegarle che è più un fatto emotivo; che il nerume che insozza beatamente la mia felpa con un Pinocchio di Oliviero Toscani ed entra nel cervello veicolato dalle papille olfattive, quella non è polvere: è u sciauru dei libri, uno stato dell’anima” [C.R., Polaroid 5]

Il libro di Concetta Rundo è particolare, perché tra le varie originalità di questo volume “multi…” vi è anche la multifaccialità. Ha un Lato A, con una sua copertina, che introduce alla parte dedicata alla poesia. Ma basta capovolgerlo e girarlo e ci si trova davanti al Lato B, dedicato alla prosa
Qui assistiamo ad una mutazione antropologica; la prosa (lo dice la parola stessa) è prosaica, sarà anche una tautologia ma è la verità.
Ora il presente irrompe con tutta la sua urgenza, con tutta la sua immanenza, con tutta la sua prepotenza.
Occupa quasi militarmente tutto lo spazio letterario dell’Autrice, concede malvolentieri rari spazi al passato, almeno in questo riconosce come peccato mortale la negazione della memoria, poi si riprende indispettito tutta la scena.
L’Autrice ne è consapevole, sa che è una lotta perdente e ne controbilancia lo strapotere, battezzando i suoi brevissimi racconti Polaroid, una delle poche concessioni al passato.
È opportuno soffermarsi un momento sulla parola Polaroid, termine un po’ retrò e molto desueto, praticamente sconosciuto a chi ha meno di quarant’anni.
Un tempo simbolo di modernità tecnologica (la fotografia autosviluppantesi, senza bisogno della mediazione chimica del fotografo), oggi curiosità da archeologia industriale, soppiantata dagli scatti della telefonia mobile.
Cosa ci vuole dire Concetta Rundo? Le sue 8 Polaroid sono ambientate al tempo del Covid, ne contengono tutte le ansie, le emergenze e, soprattutto, le riflessioni.
Brevi, forse persino brevissime, ma non così istantanee e irriflesse come le immagini scattate ad acritica dovizia da un cellulare. Hanno bisogno di essere assorbite, maturate, forse perfino sofferte.
Non per troppo tempo, per carità, giusto il tempo dello sviluppo di una Polaroid, magari ascoltando un brano tra quelli suggeriti dalla stessa Concetta e con un buon bicchiere in mano tra quelli suggeriti dal gusto del lettore.

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