Annie Messina. Il mirto e la rosa

di Mauro Mirci

Viene spontaneo, durante la lettura de Il mirto e la rosa, cercare riferimenti letterari, e non, ai quali comparare la storia di Hamid al Ghazi (nome che si dovrebbe trascrivere con un doveroso corredo di accenti che la tastiera, ahimé, non possiede) e del Principe Falco. Le suggestioni e le magie de La mille e una notte, di sicuro, e poi un po’ delle atmosfere di Liala, e poi ancora, ma sì, Thelma e Louise. Questo per dire che quando si parla di contaminazioni non è necessario cercare lontano. Basta sbirciare nella libreria vicino casa e prelevare un volumetto da meno di duecento pagine, edito da Sellerio e scritto da una tale Gamila Ghali.

Anche per Gamila Ghali vale il discorso sugli accenti già fatto per Hamid al Ghazi, sennonché la mancanza risulta in definitiva poco grave poiché, in realtà, l’autrice di questo romanzo d’amore e guerra ambientato in un’epoca senza tempo di sultani, califfi, harem, scimitarre e gesta eroiche, si chiama Annie Messina. Siciliana, spentasi novantenne, è nipote della scrittrice Maria Messina, autrice dei primi del ‘900 “stimata da Verga, da Borgese e da Sciascia”.
Se entrambi i nomi delle due scrittrici dovessero dirvi poco (o nulla), nessuna paura. Dacia Maraini, rispondendo a una domanda pòstale da Alida D’Aquino, rivela: “Entrambe furono accomunate dall’essere donne che non fecero nulla per mettersi in vista.”
Ma si parlava de Il mirto e la rosa.
Il principe Hamid al Gazi, fiero guerriero musulmano, signore di terre collocate in una non meglio specificata landa del meraviglioso Oriente, si reca dal mercante di schiavi Butros es-Shami per far compere e, nell’esercizio commerciale, vede per la prima volta, legato a un tavolaccio e prossimo da divenire eunuco, un giovinetto le cui fattezze e il cui orgoglio lo conquistano. Sarà amore a prima vista? La Messina-Ghali non lo dice a chiare lettere; la sua prosa improntata all’eleganza e alla perifrasi impedisce simili riferimenti diretti, ma il trasporto e la compassione che muovono le azioni di Hamid non potrebbero essere spiegati diversamente.
Prontamente lo compra. Non senza, però, incidere una ferita sanguinosa sulla guancia imberbe del ragazzino, il quale non gliene vorrà mai, anzi ricambierà con la devozione assoluta Hamid. E’ l’inizio di un legame che vede i due rivestire, ognuno, ruoli diversi e sovrapposti: protettore e protetto, padre e figlio, padrone e sottoposto, maestro e discepolo. Il ragazzino, che ha di sicuro nobili origini ma ha perduto la memoria per via di una ferita al capo infertagli dai predoni che poi lo cedettero a Butros, si dimostra in breve tempo persona fiera e coraggiosa quanto il suo signore, ansiosa di compiacerlo e di obbedirgli. Del canto suo Hamid si bea nell’ammirare le fattezze del ragazzo – che prende il nome di Principe Falco -, ne adora la gioventù e la grazia, lo paragona in qualche modo al figlio Harazad, bizzoso e collerico, col quale vive un rapporto fatto di continui scontri.
Il lettore esperto ha di sicuro già individuato tutti gli elementi della storia, ha già capito che uno dei fondamentali sarà la gelosia che Hazarad nutrirà per il ragazzino. Gli manca il Cattivo. Harazad è personaggio troppo “debole” per essere un Antagonista degno di Hamid. La penna smaliziata di Annie Messina inventa quindi l’emiro Hussein. Furbo della classica furbizia dei cattivi letterari, perfido, doppiogiochista, bugiardo, avido, egocentrico, sadico e, per soprammercato, pure lussurioso e appassionato dell’arte di stuprare e uccidere giovinetti, Hussein trama per impadronirsi delle terre di Hamid, alleandosi segretamente con Harazad, al quale non pare vero di riuscire, in un colpo solo, a liberarsi sia dell’ingombrante figura del genitore, sia del Principe Falco, schiavo assurto a un ruolo che lui non ha mai avuto.
E’ la guerra. Il tradimento causa la sconfitta delle truppe di Hamid, il quale, dopo avere posto in salvo i suoi uomini più fedeli superstiti, fugge con Falco. Entrambi sono risoluti a non farsi catturare, né morti né vivi.
Il finale, come vuole la norma di ogni recensione, non può essere rivelato, ma se avete letto le prime righe di questo pezzo, forse lo potete intuire lo stesso.
Questa è la storia, piacevole da leggere, ricca di sottintesi e aneliti poetici, curiosamente priva di personaggi femminili, nonostante sia scritta da una donna. Al centro di tutto il rapporto tra Hamid e Falco, nel quale la bellezza interiore e la purezza sono gli elementi dominanti, capaci di addomesticare il carattere spigoloso dell’uomo. E’ certo, Il mirto e la rosa, un romanzo di altri tempi, di quando i lettori erano meno smaliziati e cinici, e sapevano godere di un romanzo per il suo stile e per i sentimenti elevati di cui trattava, anche se si trattava di un romanzo scritto come se fosse una favola. Favola poco adatta ai bambini, è vero, ma dalla quale traspaiono, accanto al puro desiderio affabulatorio, chiari intenti edificanti e morali. Poco importa che qualche purista dei buoni sentimenti possa opporre l’obiezione che in una storia dominata da omossessualità e pedofilia, l’intento edificante possa esporre a equivoci e ambiguità. E’ l’amore, quello di cui Annie Messina racconta, l’amore puro, fatto di dedizione assoluta, di contemplazione dell’anima e del corpo.

Annie Messina. Il Mirto e la rosa. Sellerio editore, Palermo. 1982. € 8,00, pp. 188. ISBN 88-389-0208-9

Annie Messina, morta … all’età di novant’anni, era nipote di Maria Messina, la grande scrittrice siciliana di fine ottocento le cui opere sono state in anni recenti ripubblicate dall’editrice Sellerio. Annie Messina aveva scritto alcuni romanzi brevi due dei quali pubblicati dalla stessa casa editrice che aveva pubblicato quelli della zia. I suoi libri – i più belli sono pubblicati da Sellerio, Il mirto e la rosa (nel 1982) e La principessa e il wali (nel 1996), meno riuscito è La palma di Rusafa pubblicato da Mondadori nel 1989 – raccontano storie di amori tragici, piene di una passione che proprio perché trattenuta è ancora più bruciante. Sono ambientati nel mondo arabo che Annie Messina amava per esserci vissuta e al quale si sentiva così legata da firmare il suo primo libro con un pseudonimo arabo. Un breve profilo di Annie Messina comparirà sul prossimo numero di Leggere Donna, n.65 (novembre-dicembre 1996) a firma di Clotilde Barbarulli, una delle due autrici (insieme a Luciana Brandi) di un libro su Maria Messina che sta per essere pubblicato dalla casa editrice Tufani: I colori del silenzio. Strategie linguistiche e narrative in Maria Messina.

[Fonte: http://www.mclink.it/n/dwpress/dww63/rub2.htm]

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