di Billy Rose, riscritto da Mauro Mirci
Gran parte della popolazione di Villareale s’era radunata nell’aula del tribunale. L’imputato era seduto nella gabbia con i ferri ai polsi e le mani grassocce aggrappate alle sbarre. Uno dei carabinieri che stavano nella gabbia con lui lo tirò per un braccio e lo costrinse a sedersi.
Filippo Del Grande, celebre penalista palermitano che aveva sottratto al plotone d’esecuzione più d’un imputato d’omicidio, era un ometto panciuto, dalla calvizie incipiente. Indossava un elegante abito grigio, ma la sua toga avrebbe avuto bisogno d’una bella stirata. Al bavero della giacca, come del resto anche il pubblico ministero, portava una spilla col simbolo del PNF.
— Signor presidente, signori della corte, — disse con calma, — quindi, a quanto pare, Enrico Volpe é accusato d’avere ammazzato ben tre donne. Non una o due, che già sarebbe un bel numero. Tre addirittura. Addirittura!
In quell’”addirittura” l’avvocato Del Grande calò tutta l’enfasi di cui era capace.
— Il perché è un mistero, — disse ancora, — altrettanto il come, e i cadaveri chissà dove sono. Per tutta una settimana, sono rimasto ad ascoltare mentre il pubblico ministero spingeva il mio assistito verso il plotone d’esecuzione. Però, cosa ben strana, non è stato presentato un solo testimone, dico uno!, di nessuno degli assassinii. Nessuno ha trovato neppure un’unghia delle donne scomparse. II Pubblico Ministero ha sostenuto l’accusa solo con prove indiziarie: qualche parola ricordata a metà, seppure è ricordata…
Il pubblico rumoreggiò, il presidente impose il silenzio.
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