Le visioni siciliane di Salvatore Giordano

di Mauro Mirci

Salvatore Giordano persegue con coerenza e perseveranza il suo obiettivo di narrare la Sicilia e i siciliani senza indulgere in luoghi comuni e rappresentazioni iconografiche, ma traendo libera ispirazione dalla realtà e dai personaggi che essa sa offrire all’osservatore attento. Manda in libreria, quindi, il suo terzo libro, una raccolta di racconti dal titolo difficile da pronunciare, “Sizilianische Weltanschauungen“, che si può tradurre, più o meno, “Visioni del mondo siciliano”. Si tratta di dodici racconti, raccolti in due parti. “Calati juncu” è il titolo della prima, “Passa la china” della seconda. “Calati juncu ca passa la china”, vecchio detto siciliano; piegati giunco per sopportare meglio la piena, cioé, l’esatto opposto di un detto, non siciliano questo, che recita “mi spezzo ma non mi piego”.

E’ già nella differenza tra i due adagi una prima indicazione di una peculiarità siciliana: piegarsi, essere flessibili alle traversie così come ai soprusi, non opporre resistenza alla forza che prevarica, ma curvarsi, lasciare scorrere il flusso senza opporsi. Dopo, risollevarsi, far finta di nulla e continuare a vivere. Almeno sino alla prossima piena.

Talvolta, piegarsi per sopportare può essere anche l’unico modo per continuare la propria battaglia. E’ così, almeno, per Bakunin, il professore di storia e critica del cinema che, ogni anno, tiene lezione per un solo studente (Bakunin / Uno studente per un anno). Ed è così, probabilmente, anche per lo studente che “diligente e appassionato” seguirà tutte le lezioni ma non si presenterà all’esame.

Ogni racconto di “Calati juncu”, ha un suo doppio in “Passa la china”. Più che davanti a dodici racconti, infatti, ci troviamo di fronte a sei racconti doppi, ognuno con due protagonisti, talvolta antagonisti. Ogni storia è raccontata due volte, quindi, da due punti di vista diversi, e la particolare tecnica narrativa ottiene un interessante effetto di suspence. Nulla è come appare, o almeno non “proprio come” appare. E’ la peculiarità di questo libro: mostrare lo stesso oggetto sotto luci diverse; descrivere diversi modi di vedere e intendere, raccontare di sensibilità ed esperienze diverse. Bellissima questa qualità dell’autore, quella di calarsi ogni volta nei panni di personaggi diversi, cambiando voce e personalità. E bellissimo l’effetto che Giordano ottiene in quello che, secondo me, è il miglior “doppio racconto” del volume: Il terremoto / Il ragazzo del terremoto, straordinaria descrizione del profondo rapporto di stima e affetto tra un ecclesiastico, direttore dell’Opera Universitaria, e uno studente intenzionato a portare soccorsi ai terremotati dell’Irpinia, e per questo chiede la collaborazione proprio all’ecclesiastico. Storia di grande capacità introspettiva, forte e delicata al contempo, specchio fedele, oltre che di alcune dinamiche interiori, anche di dinamiche molto più prosaiche (e attuali, alla luce di alcune polemiche relative al terremoto di Haiti), quelle della gestione delle emergenze e dell’interferenza della politica e dell’interesse privato anche nelle più grandi tragedie.

Non meno meritevoli d’attenzione gli altri racconti. In Zì Fortunello / Nuccio il giornalista è raccontata la storia di un’amicizia; quella tra un orafo anziano e scontroso, vittima di frequentissime rapine, e un giornalista alle prime armi.
Miria / Il vecchio e il canto d’amore è la storia di un amore ricambiato ma quasi inconfessato.
Il passo carrabile / Tedeschi può essere definito un contrasto, e descrive l’alterco tra due uomini, due culture, due modi diversi di intendere le convenzioni sociali.
Infine La morte al lavoro / Un lavoro ingrato. Prendendo spunto da alcuni incidenti mortali realmente verificatisi in corrispodenza di un tratto di strada nei pressi di Piazza Armerina, sono l’occasione per una riflessione dell’autore sul significato del morire sul lavoro, morire per il lavoro, morire perché altri non sembrano capaci di compiere bene il proprio lavoro. E anche per consentire alla Morte in persona di giustificarsi, di chiarire che uccidere è il “suo” lavoro, ma che è spesso incentivato e facilitato, perché proprio Lei non può “fare nulla perché l’uomo uccida, si uccida, si lasci morire, si lasci uccidere, lasci morire i suoi simili, ferisca e si ferisca a morte. Non posso fare nulla per evitare le guerre, le pestilenze, gli avvelenamenti, gli infortuni sul lavoro.

Salvatore Giordano. Sicilianische weltenschauungen, visioni del mondo dall’isola del sole. Edizioni Carlo Amore. Pp. 130, € 12,00

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