Conosco l’amore meglio di voi. Un pretesto per narrare l’isola nell’isola.

di Mauro Mirci

Enna, il capoluogo di provincia più alto d’Italia, è una costante dei romanzi di Andrea D’Agostino. Fa da scenario al suo Mi mangiassero i grilli e, dopo qualche anno, la ritroviamo anche nel recente Conosco l’amore meglio di voi. Ma, se nella prova narrativa dei Grilli, era il luogo delle reminiscenze infantili e adolescenziali, nel più recente romanzo, pubblicato dall’editore torinese Codice, Enna ha più le sembianze di un luogo archetipo, idealizzato, idoneo a far da sfondo alla rappresentazione dei personaggi che D’Agostino sembra prelevare dalla cronaca nera. Quale altro luogo potrebbe, del resto, ospitare in maniera più appropriata un racconto che, nei toni, nel disegno dei protagonisti, nelle loro azioni, nell’accumularsi e susseguirsi dei fatti e delle conseguenze, ha le coloriture e i timbri della tragedia greca? Un monte alto mille metri che si eleva deciso al di sopra di un panorama di colline spoglie, dove le tonalità del giallo predominano su quelle del verde. Luoghi che da sempre sono patria di ninfe, satiri e dei. Dove anche il brutale rapimento di una fanciulla, la sua reclusione nel regno degl’Inferi, diviene racconto mitico e malinconico di un amore prima estorto e poi concesso al prezzo di altro dolore.
Questo il contesto primigenio nel quale D’Agostino incastona il suo racconto e i suoi personaggi. Vincenzo, un dodicenne in preda a pulsioni incontenibili che lo portano a interessarsi morbosamente –  palpare, carezzare, esplorare – a ogni corpo femminile a lui prossimo. Vincenzo è diverso, scabroso, indisciplinato, incontrollabile. Il perfetto frutto di una famiglia della quale il testo racconta il progressivo disfacimento. Il padre, partito per lavorare, un giorno non torna più. Così, semplicemente, inevitabilmente, scompare dalla vita della moglie e dei figli. Se la spudoratezza sessuale di Vincenzo è uno degli elementi cardine della storia, l’abbandono del padre è il primo punto di snodo del racconto, la lesione fondamentale nel quale s’insinua, fatalmente, il male. Il ragazzino viene affidato a padre Calogero, prete stimato che, dietro a un’immagine irreprensibile, cela la sua autentica natura di uomo fragile e, come tutti gli esseri fragili, vulnerabile al male. A questo punto la vicenda intraprende un percorso inesorabile, che lo stesso Vincenzo adulto, individuo ormai emarginato e dall’anima devastata, racconta in prima persona senza pudori e reticenze, come in un rito espiatorio che non prevede l’assoluzione del reo.
Se la Sicilia è isola, i monti Erei, le città, i paesi che su essi sorgono, Enna stessa, sono isola nell’isola. Frutto di accantonamento geografico, viabilità insufficiente, oblio politico, arretratezza economica e culturale. Nel romanzo di D’Agostino c’è tutto, ed è tutto vero. È scritto oppure si percepisce tra le righe, come un elemento sottinteso che abbia intriso carta e inchiostro. C’è l’odore della città e delle campagne, la mole dell’Etna all’orizzonte, l’umido della nebbia, il pallore dei cieli invernali e l’azzurro delle giornate di sole. C’è il santo venerato, avido di pellegrinaggi e avaro di grazie. Ci sono il rapporto con i centri abitati del circondario, gli argomenti ricorrenti nelle conversazioni della gente, il carattere di chi vive in luoghi isolati, le piccole cattiverie della gente di quartiere. Poco importa che la trama sviluppata non sia (forse!) aderente a un fatto specifico e reale. La storia è struggente, gli elementi della tragedia sono presenti: l’amore negletto, la solitudine, il sesso, la corruzione, la perfidia, l’incesto, il tradimento, il sangue, l’egoismo. Un romanzo intriso di dolore e afflati poetici.
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