Maddalena Mongiò. Il portone sulla Piazza

di Mauro Mirci

“…Barbara, distesa sul letto che condivide con il marito, singhiozza.”Ballava sfrenata quando lo squillo inopportuno del telefono le raccontò di lui riverso sul sedile dell’auto con il foro occipitale mostruosamente e oscenamente squarciato da una pallottola.”
E’ questo il culmine dell’incipit de Il portone sulla piazza, il breve romanzo di esordio della leccese Maddalena Mongiò. Inizia così: l’immagine di “lui”, Pietro, il suo amante, ucciso in maniera violenta e Barbara che sfoga il proprio dolore nel letto condiviso col marito. Tenta di consolarla Ettore, il marito? La pagina non lo dice, ma nel testo che segue, Ettore manifesta atteggiamenti che fanno supporre sapesse e non ostacolasse. Non è possibile affermarlo con sicurezza.

Ettore è un uomo, e in questo romanzo gli uomini esistono in forma bidimensionale, fanno da sfondo per una narrazione dove tutto è femminile, e dove l’universo maschile assume aspetto di uno scenario dipinto all’interno del quale i personaggi femminili si muovono e agiscono, loro sì autentico motore di carne e sangue della storia.
Leggere, da uomo, il breve romanzo di Maddalena Mongiò è paragonabile a un’immersione in profondità inesplorate e spesso aliene. In questo libretto di nemmeno cento pagine nulla è prevedibile, tanto che per lunghi tratti lo si potrebbe dire abilmente decostruito. A una prima lettura potrebbero emergere difficoltà a legare la parte iniziale del libro con quella centrale e quella finale; ognuna sembra caratterizzata da stile e intenti diversi. La parte finale – il racconto, in forma di testo teatrale, delle traversie di Juana Inez de la Cruz, giovane suora messicana del XVI secolo – poi, è addirittura slegato dal contesto storico di partenza.  Eppure una coerenza di impronta manifestamente femminile lega tutto il costrutto narrativo, conferendogli una compatta capacità di penetrazione. Non è un testo facile. L’autrice ha scelto di mantenere le distanze da una struttura narrativa usuale, e bene ha fatto, ché adeguarvisi avrebbe costituito pesante zavorra per questa storia tanto complessa, eppure tanto facilmente riconoscibile. “E’ una storia dal sapore antico, quella che con abilità e temperanza ci racconta Maddalena Mongiò”, così inizia la prefazione di Livio Romano, e a lettura terminata non si può che assentire e rilevare, con stupore, l’abilità con la quale un’autrice esordiente ha saputo raccontare un  mondo doloroso. Un mondo dove dominano silenzi e malintesi, e dove l’aspirazione all’autodeterminazione e a una vita piena e vera stride con vetusti meccanismi sociali e familiari. E se tutto sembra prendere spunto da un evento che colora di giallo l’incipit, – l’uccisione, probabilmente un regolamento di conti, di Pietro, amante di Barbara – i successivi sviluppi della storia rivelano come non alla trama poliziesca tenda tutto il narrato, bensì come il disvelamento cui si aspira è quello dei desideri non manifestabili, dei conflitti interiori più segreti, delle rivalse e delle evocazioni.
La descrizione della vita di Barbara, la protagonista, è solo un pretesto narrativo. Così ogni evento descritto non ha altra funzione che quella di giungere, pagina dopo pagina, strato dopo strato, all’origine dell’evento stesso, alle sue cause intrinseche, al suo nucleo. Che non può essere che interiore, viscerale, animale, eppure sublime, quasi metafisico, slegato da ogni logica di vantaggio, convenzione e forma sociale.

Maddalena Mongiò: Il portone sulla piazza, Manni editore, 2004. € 10,00, pp. 83. ISBN 88-8176-567-5

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