La Porta. Narratori di un Sud disperso

di Angelo Maddalena

Narratori di un sud disperso è un po’ un viaggio anomalo ed eterogeneo (non solo letterario quindi) lungo i sentieri del sud…disperso, o meglio: “Allontanato da se stesso fino a stravolgersi o a nascondersi, metafora preziosa, irriununciabile, ma oramai in gran parte (non del tutto) slegata da lunghi geografici ed etnie e climi precisi”.
“Partendo da un fenomeno esclusivamente letterario”, spiega La Porta in una pagina del libro ” e cioè l’emergere in questi anni di una corposa narrativa meridionale dai tratti assai netti, riconoscibili, ho cercato di sottoporre a verifica la stessa categoria di Sud (del mondo), così cara a Ignazio Silone: quanto è legittimamente utilizzabile nell’epoca della globalizzazione e dell’omologazione del pianeta?”.
I narratori “interrogati” sono tanti, da Cervantes a Silone, da Tomasi di Lampedusa a tanti autori contemporanei del meridione italico.

“Per Silone, caratteristiche di questa meridionalità sono, oltre alla povertà estrema, anche una mentalità messianica ed eretica, un atteggiamento millenaristico (di attesa del Regno) e insieme di rivolta che nel nostro Sud si è espresso attraverso il moto francescano, da Gioacchino da Fiore fino a Cafiero, ai fasci siciliani e agli anarchici di oggi”.
“Per riflettere su questi temi culturali”, scrive l’autore nella premessa ” che rinviano spesso a conflitti sociali laceranti, tenterò di rileggere alcuni testi (narrativi e saggistici) tutti variamente appartenenti al sud, benché di culture e paesi diversi; e lo farò seguendo in modo rapsodico un itinerario molto personale (fatto di riflessioni su autori contemporanei e autori “classici”, ritratti critici, cortocircuiti letterari, conversazioni…).

Cuntastorie in un mondo senza storie è il sottotitolo di questo libro. Un mondo senza storie è quello omologato in cui tutte le storie sono ridotte a cliché, banalizzate per essere date in pasto al Dio Spettacolo-Mercificante. In questo senso i narratori del sud hanno un corposo patrimonio da narrare e descrivere, da tirar fuori per sottrarlo all’oblìo, alla banalizzazione imperante appunto…D’altronde, per usare le parole de I Figli della mezzanotte di Rushdie

Ci sono tante storie da raccontare, troppe, un tale eccesso di linee eventi miracoli luoghi chiacchiere intrecci, una così fitta mescolanza di improbabile e mondano

Qualche pagina dopo, gli fa eco Flannery O’Connor, all’inizio del capitolo Esotismi poco conciliati, tra l’Avana e la Marsica

Il grande vantaggio di essere uno scrittore del sud è che non hai mai bisogno di andare lontano per scoprire i costumi. buoni o cattivi ce n’è in abbondanza. Noi del Sud viviamo in una società ricca di tradizioni, di ironia, di contrasti, e soprattutto ricca nel linguaggio.

Ma da dove viene tutta questa ricchezza?, viene da chiedersi Una risposta possibile la si trova nelle seguenti parole: “Il sud del mondo, proprio perché storicamente legato a una condizione di arretratezza e disagio, contiene da sempre un potenziale narrativo eccedente (ricordate: tutte le famiglie sono felici allo stesso modo ma ogni famiglia infelice lo è in modo diverso), quello della proliferazione di eventi e miracoli di cui parla Rushdie e che dalle Mille e una notte si è riversato direttamente nel nostro capolavoro barocco-popolare Lo cunto de li cunti di Basile, bizzarro impasto di “improbabile e mondano”. E sempre per riprendere il concetto prima accennato del mondo senza storie: ” Un eccesso di storie che oggi continuano a raccontarci i cuntastorie postmoderni della “periferia” universale, pur entro il presente “blob” mediatico che sembra non avere più storie perché si assomigliano tutte…”
“Insomma, fa bene raccontare la propria terra, se questo non vuol dire che finisci per raccontare la tua terra”. dice Francesco Piccolo, autore di Storie di primogeniti e figli unici, uno di quelli con i quali La Porta ha avuto modo di colloquiare.
E continua: “E’ solo un punto di partenza, ma poi devi arrivare da qualche altra parte. Basterebbe raccontare la propria città, il paesino dove si è vissuti, che si conosce per davvero. E’ questa la lontananza reale dall’omologazione. Lontani dal centro, se si fa un po’ di attenzione, si riesce a stare al riparo dal linguaggio medio, dalle mode appena nate, dalla globalizzazione” Sud disperso vuol dire anche narratori nati a sud (o da genitori del sud) “spostati” a nord, di cui si trova poco in questo viaggio, fatta eccezione per Jean Claude Izzo, figlio di emigrati italiani in Francia, autore di Casino totale. C’è un sud sommerso, forse, oltre che disperso, ed è quello che parla con la voce della Rital Litterature, titolo di un’antologia del 1996 di scrittori italiani in Belgio. Tra essi troviamo ben pochi autori in lingua italiana pubblicati da editori “visibili”: a parte Schiena di vetro, memorie di un minatore di Raul Rossetto (prima Einaudi e poi Baldini e Castoldi) e qualcosa di Carino Bucciarelli uscita per Galzerano editore, per altre notizie si deve scavare negli archivi di Associazioni come quella degli Artisti Lepini o di case editrici come Il Pungolo Verde o Il Ventaglio. Rue des italiens, quello che può essere considerato il romanzo epico di tutta una generazione di emigrati italiani nei villaggi minerari del Belgio (A. Morelli), è già tradotto da chi scrive e attende casa editrice. Un romanzo che rientra in un panorama che La Porta spiega nelle ultime righe del suo libro: “Forse, a questo punto, si dovrebbe parlare, in modo più proprio, di una “periferia” che si sposta sempre, che attraversa gli stessi individui, che fugge indisciplinata verso tutti i punti cardinali, che si sottrae a qualsiasi retorica, a qualsiasi uso ideologico e che instancabilmente genera narrazione, canto, memoria, differenza, conoscenza (dolorosa o gioiosa) dell’altro”.

Narratori di un sud disperso, di Filippo La Porta, l’ancora del mediterraneo, pp. 118, 9,30 euro

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