Eufrosina: una vicenda vibrante

di Marco Scalabrino


Da queste poche parole, la predizione di una magara, si possono arguire almeno tre degli elementi distintivi di questo nuovo lavoro di Licia Cardillo: 1) l’avvenenza della protagonista, 2) la sua sventurata storia d’amore, 3) l’uso del Dialetto.
Atteso che una storia d’amore infelice e tragica che si rispetti esige se non altro un antagonista oltre ai due attori principali, apprendiamo intanto di costoro sin dalla copertina il nome e il titolo nobiliare: quelli di lei, Eufrosina, non certo per caso a caratteri cubitali, baronessa del Miserendino; quelli di lui, Marco Antonio Colonna, per esteso nel sottotitolo, viceré.
Eufrosina Valdaura Siracusa, dalla non comune bellezza , gli occhi verdi, i denti bianchi, orfana di madre, 17 anni; Marco Antonio Colonna, , dal 1577 al 1584 viceré di Sicilia, 44 anni.

E malgrado la notevole differenza di età, , malgrado ambedue fossero coniugati, lei con Don Calcerano Corbera barone del Miserendino, lui con Donna Felice, malgrado le convenienze sociali, egli non può esimersi, è l’1 gennaio 1579, dal dichiararle il suo amore, scaturito prepotente sin dall’istante del loro incontro:
Benché non insensibile alle attenzioni dell’uomo, ribatte lesta il giorno seguente 2 gennaio 1579, parimenti ricambiandone il sentimento fino ad esserne travolta, lei lo prega , e nel tempo reiteratamente lo inviterà a desistere, Vedremo che fino all’ultimo non sarà così.
Non intendiamo attardarci sulle vicissitudini sentimentali dei due innamorati, delle quali peraltro a cercarle si reperiscono le testimonianze, quanto piuttosto distinguere i termini nei quali Licia Cardillo ne ha reso il “clima”, delineare i luoghi in cui quelle si sviluppano, rilevare gli altri personaggi e avvenimenti nonché i contorni del costume che strutturano la narrazione, ascoltare le chiacchiare che vi si insinuano come quella che Don Pietro Vivacito e per questo venne condannato a ; eccetera.
Apprendiamo ben presto, il 20 marzo 1579, che la “posta” di lui sotto la casa di lei, il Palazzo Corbera a Montevergine, è scoperta dal suocero di costei. Eufrosina, perciò, lo sollecita ad essere , a non fidarsi di nessuno e, allorquando alcuni mesi dopo si incontrano nuovamente, mostra di ignorarlo.
, così lei il 30 giugno 1580, giacché in casa del duca di Terranova vide questi
Ma ecco Don Antonio Corbera, , il suocero di Eufrosina, viene ristretto nel carcere di Castellammare, ove poco dopo tempo muore, secondo quanto riferito alla giovane, di veleno mangiando , torcendosi dal dolore e non ricevendo alcun soccorso , senza il
La scenario dell’azione è la Sicilia, , e precipuamente, ne abbiamo cognizione sin dal frontespizio del volume, la città di Palermo. Palermo e i suoi quartieri: Porta Nuova, Casa Professa, Ballarò, Bocceria, Bandiera, dove si vendono , si ubicano le botteghe dei e tutta la gente . Quella Palermo che
Il libro, non un racconto, non un romanzo, bensì una corrispondenza, un carteggio d’amore, esordisce con l’invio da parte di un anonimo, cui suggestivamente è pervenuto dagli stessi amanti, di un manoscritto all’Autrice, certo che lei , traducendo
Tra le osservazioni immediate: le lettere stese in carattere corsivo, con peculiare annotazione su quella del 10 dicembre 1583, mentre le pagine che pertanto dobbiamo ritenere quelle della “ricostruzione” operata dall’Autrice in carattere normale, la rappresentazione del Palazzo Reale, con scale, cammare, arazzi, delle vesti delle dame ricamate di cremisi, di broccato nero e oro, e ancora la musica, il ballo, i cavalieri mascherati, i piatti d’argento pieni di confetti, frutti, pupi di zucchero … e, allora come oggi, tra maggio e giugno 1580 e il solo ristoro al è bagnarsi
In conformità allo scenario, assume rilevanza il linguaggio (che Licia Cardillo ha) adoperato: lessico, espressioni idiomatiche e sintassi mutuati dal Siciliano si fondono felicemente all’Italiano dell’epoca e a voci spagnole qua e là disseminate. E, come già per TARDARA del 2005, nello specifico del Dialetto, Licia Cardillo se ne serve con diligenza, ne sorveglia accuratamente la trascrizione, ne fa un impiego mirato “alla riappropriazione di una bistrattata identità culturale, alla riaffermazione di un vitale strumento linguistico.” E, in questa sorta di efficacissimo argot, mette in campo delle pregevoli formulazioni: le parole mi si quagghiano in bocca, mi cade la faccia a terra per la vergogna, meglio urvicare tutto, sfardare questa lettera pizzuddi pizzuddi, il fuoco che non mi dà abbento, mi aggarrò le mani, sferza l’aria con la zotta, conosciuto come l’ardicola, vi scantate di vostro suocero, fuggii come un ladro assicutato, raciuppare qualche piastra, forte era lo spinno, sto patendo i guai del lino, può capitare che persone di onesta qualità ‘ntuppino nelle mani dei Mori, tanti cristiani arricogghiendosi al porto a spiare, chi mangia fa molliche, fatene una veste e ‘nsajatela per me, s’inturciuniava per il dolore, messo nel tabuto di velluto, ‘ngarzarvi con Don Calcerano, un cristiano che tampasia, tanfo di carne abbruciata, allippa la lingua, restai assintumata e senza parole, si abbruciò le ali, se ne fossi stata arrasso, quella mala zippula. E, tra le prerogative del Siciliano, profitta con generosità della ripetizione del sostantivo: Cassaro Cassaro, campagne campagne, strade strade, stanza stanza, Palermo Palermo. “I casi di ripetizione di sostantivo – fissa Luigi Sorrento in NUOVE NOTE DI SINTASSI SICILIANA – sono speciali del Siciliano. Strati strati indica un’idea generale d’estensione nello spazio, un’idea di movimento in un luogo indeterminato, non precisato, tanto che non può questa espressione essere seguita da una specificazione, come strati strati di Palermo. L’idea di estensione viene espressa dalla ripetizione del sostantivo, così originando un caso particolare di complemento di luogo mediante il raddoppiamento di una parola.”
, Eufrosina s’avvede, il 30 settembre 1580, di essere gravida. Gravida a dispetto dei suoi propositi di strappare quella creatura , mediante impiastri e decotti: Gravida di
Don Calcerano Corbera, probabilmente, non verrà mai a conoscenza di quella gravidanza. Lei infatti perderà la creatura agli inizi di gennaio 1581, nel mentre che egli soggiorna a Malta, dove da qualche tempo si è recato e dove, per quanto riportato ad Eufrosina , morirà nell’agosto 1582.
Dei delitti che ne parlano, per screditare ed accusare il vicerè, i suoi nemici, che solo
In questa vicenda a tinte fosche, e persino Cisneros, il fidato segretario di Marco Antonio Colonna , emergono tuttavia talune chiazze di colore. Spiccano, fra esse, l’episodio, che risale all’1 ottobre 1583, in cui Eufrosina rinviene le sue fattezze, nell’acqua della fontana di Porta Felice, in quelle di una statua di marmo, una sirena, , e così esponendola ai commenti a dir poco sboccati dei palermitani; e, da leccarsi le dita, nonché
L’ultima lettera della corrispondenza, , è del 27 luglio 1584 ed è di Marco Antonio Colonna, il quale di lì a qualche giorno, il primo agosto 1584, sarebbe morto, , a 49 anni, in territorio spagnolo, non senza però riuscire a guadagnare la corte di Madrid, dove era stato richiamato.
Alla sua scomparsa Eufrosina e presso di lei, superate vecchie ruggini – la stessa giovane attesta, il 27 febbraio 1581, che la viceregina la pescò nella camera del marito – consegue rifugio e protezione.
In appendice al volume, Licia Cardillo enumera rigorosamente i documenti d’archivio che suffragano la veridicità storica di quegli avvenimenti e che ne definiscono l’epilogo.
Ciò detto, assodata l’ammirevole scrittura di Licia Cardillo, la qualità più bella della compita, puntuale, amorevole sua riproposta è che essa ci fa invaghire di quella epopea, ci fa sentire partecipi di quel contesto, a distanza di quattro secoli ci restituisce una vicenda vibrante, attuale, nostra.

Maggio 2009

Carteggio d’amore tra il viceré Marco Antonio
Colonna e la giovane baronessa del Miserendino
nella Palermo del ‘500.
di Licia Cardillo Di Prima
Dario Flaccovio Editore – 2008

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