di Domenico Scinà – Attualizzazione del testo di Mauro Mirci
Le origini della Sicilia, per una sorte che la accomuna alle nazioni più antiche e illustri, sono avvolte nell’oscurità, e la sua storia primordiale corrotta e distorta dalla leggenda. Gli scrittori ci dicono che i primi ad abitarla furono i Ciclopi e i Lestrigoni; ma i poeti, che per primi ci parlarono di loro, lasciandosi condurre dalla fantasia, invece che uomini e popoli ci descrivono esseri allegorici e fantastici.
I ciclopi di Omero non sono quelli di Esiodo, che temprano i fulmini per Giove, e i ciclopi di Esiodo non sono quelli di Callimaco e di Pindaro, manovali di Vulcano nelle grotte di Lipari e nelle caverne dell’Etna.
Gli stessi scoliasti , anche se attenti nell’interpretare i poeti, accettarono per vere alcune leggende antiche e popolari, talvolta contraddittorie e sempre fantastiche, e affastellando ogni cosa confusero tanto i fatti che gli storici più rigorosi non furono più in grado di comprendere chi fossero i Ciclopi e i Lestrigoni, da dove provenissero, quale sia stata la loro sorte.
Tuttavia, sono tanti, ai nostri giorni, gli studi degli eruditi che hanno distinto i Ciclopi favolosi da quelli storici, studiando, di questi, le opere, i luoghi di insediamento e l’origine, ritenuta fenicia da alcuni ed egiziana da altri.
Gli autori più autorevoli sono dell’avviso che coloni arabo-fenici, spostandosi dall’Egitto e dalla Libia, siano giunti presso i Pelasgi , che prima di diffondersi per la Grecia, avevano dato all’Argolide e all’Arcadia la denominazione di Pelasgia. Dalla Libia, sicuramente, proveniva Danao ; un pastore fenicio fu Lelex; Cadmo era nativo della Libia egiziana.
I Pelasgi trassero grande vantaggio dal contatto coi coloni, che contribuirono a miglioramento della vita civile; e grazie ad alcuni pastori fenici, che ricevettero in Grecia il nome di Ciclopi, furono introdotti nuovi metodi per edificare in pietra e per lavorare il ferro.
Proprio parlando di questo metallo, sebbene l’arte di lavorarlo fosse nota dall’antichità presso gli Egizi e in Palestina, essa non era conosciuta in altre nazioni, che utilizzavano rame e bronzo per la fabbricazione di armi e utensili. A seconda dei luoghi, in Grecia l’invenzione di tale arte aveva attribuzioni diverse, e Plinio ne attribuisce il merito soprattutto ai Ciclopi. E poiché Vulcano, antico re d’Egitto, aveva insegnato per primo a lavorare il ferro, i poeti, introdotto in Grecia il culto di Vulcano, collegarono questo dio ai Ciclopi, che erano fabbricatori di ferro, descrivendoli come aiutanti nella sua officina.
Parlando poi della edificazione in pietra, è noto che, al di fuori di Egitto, Fenicia e Caldea, altrove non si edificava che col legno, con la terra cotta e coi mattoni.
I Ciclopi, che insegnarono ai Pelasgi l’arte di fabbricare in pietra, furono i primi a connettere, con pietre più minute, grandi e grossolani massi di forma irregolare, elevando in Grecia le più alte e aggraziate muraglie. Fabbricarono così le mura di Micene, di Tirinti e di Nauplia, le cui rovine mostrarono agli occhi dei viaggiatori, dopo tremila e più anni, le prime immagini e i primi passi delle nascente architettura.
Per questo tale maniera di edificare fu detta ciclopéa; ciclopéa fu definito, secondo Sirvio, qualunque fabbricato vasto e grandioso, e i ciclopi furono celebrati da Aristotele come inventori delle torri.
Costoro, dovendo lavorare nel sottosuolo per estrarre grandi massi o ricercare giacimenti di ferro, secondo l’uso egizio nel lavoro in miniera, legavano una lucerna alla fronte per vedere nell’oscurità. Sicché non è da reputare strana la congettura di un erudito, secondo la quale quei fabbri proprio a quella lucerna debbano, in Grecia, il nome di “Ciclopi”, quasi che fossero forniti di un occhio circolare sulla fronte . Ma, a prescindere da tale congettura, è certo che col nome di ciclopi furono designati coloro che costruivano altre e grosse muraglie con gran massi, connettendoli con pietre più piccole. E siccome si procuravano il cibo col lavoro manuale, furono anche chiamati, da Strabone, “Chirogastori”, per cui, per il mestiere praticato, furono detti indifferentemente chirogastori e ciclopi.
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