Prima degli elleni – III puntata

di Domenico Scinà – Attualizzazione del testo di Mauro Mirci

E’ ormai noto ai geologi che le ossa fossili possono attestare le diverse epoche dei terreni, che sono di terza formazione, giacché le ossa di alcuni animali sono legate agli antichi terreni terziari, mentre quelle di altri a terreni recenti, e altri ancora ai terreni alluvionali. Le caverne “ad ossa” e le brecce ossifere recentemente rinvenute nei dintorni di Palermo, appartengono a elefanti, a ippopotami, a cervi e ad altri animali simili, che giacciono in un unico terreno, il più recente cioè quello alluvionale.
Queste caverne e brecce, inoltre, si trovano al piede dei monti, non lontano dalla spiaggia attuale, su un’antica linea di costa. Per cui l’inondazione e il deposito di queste ossa avvenne quando la nostra isola, già emersa, mostrava aspetto simile all’attuale, ma le acque ricoprivano ancora le piane di Palermo .

Dovette quindi trascorrere molto tempo perché il mare si ritirasse e la pianura emergesse, così da offrire agli uomini un ricovero sicuro. Tuttavia, le ossa rinvenute in quei luoghi, nelle quali i nostri scrittori avevano visto e riconosciuto i resti dei giganti, anziché indicare l’esistenza di insediamenti umani, li escludono, datandoli a tempi molto posteriori alle ossa.
Dov’è dunque Palermo? E dove sono i nipoti di Noé che la fondarono? Dove le scienze astronomiche e fisiche dei primi abitatori della Sicilia?
Le conclusioni dei nostri scrittori, di per sé vane poiché privi di autorità storica, sono ancora contraddetti da quelle ossa medesime che essi invocano a sostegno, cioè dalle prove concrete, che valgono assai più delle loro congetture erudite e delle loro argomentazioni pompose.

Separata, per quanto è possibile, la storia dalla favola, torniamo a individuare i primi abitatori della Sicilia in poche famiglie giunte dall’Epiro, che separatamente si stanziarono sui monti, trascorrendo i giorni, secondo quanto ci tramandano gli antichi, come semplici pastori. Euripide infatti, ci presenta Polifemo intento a osservare i suoi figli da un’altura mentre sono intenti a pascolare il gregge. Non per questo si deve immaginare, come fanno i nostri storici, che essi vivessero di sola pastorizia, perché potevano nutrirsi anche di piante, radici, turioni , semi e frutti che per la fertilità del suolo crescono spontaneamente in Sicilia. Il loto – non è quello egiziano ma l’altro, che si chiama “giuggiolo” e cresce nei dintorni della Barberia -, nasce da noi spontaneamente; e il loto, di cui si nutrivano gli abitanti della piccola Sirte, ritenuti dagli studiosi i veri Lotofagi, poteva anche nutrire i primi siciliani. Anzi, ci sentiamo confortati nel sostenere che, veramente, lo utilizzassero come cibo per antica tradizione, derivata dall’aver coabitato nell’isola con i Ciclopi e i Lotofagi; tenuta per vera questa antica testimonianza, si può dedurre che i Ciclopi in sostanza si nutrivano, come i Lotofagi, di giuggiolo, cioè di loto.
E’ naturale che i Ciclopi, per la vita che conducevano, diffidassero dei forestieri, massimamente in quei tempi che le nostre spiagge abbondavano di pirati; ma ciò non significa che fossero da considerare, come comunemente avviene, feroci, inumani e divoratori di uomini.
Platone li dice privi di malizia e li descrive simili ai primi che, sfuggiti al diluvio, rimasero sui monti in semplicità e vivendo da pastori. Ma quali che siano state le loro prime usanze, non v’è dubbio che s’ingentilirono quando, ai tempi di Silio Italico e di Strabone discesero dai monti alla volta della pianura ai piedi dell’Etna per dedicarsi alla coltivazione dei campi.
Poiché passarono dalla vita oziosa e inerte dei pastori a quella più laboriosa e attiva degli agricoltori, interrompendo la loro vita solitaria, si predisposero alla vita sociale, che è il primo passo verso la civiltà.
Nei luoghi orientali dell’isola, quelli abitati originariamente, fecero la loro comparsa, per la prima volta, i Sicani, popolo d’Iberia che, cacciato dai Liguri, cercò ricovero in Sicilia. I Sicani erano numerosi, esperti nella coltivazione del suolo e già possesso di un’organizzazione sociale. Per questo il loro arrivo non creò molestia alle poche famiglie di Ciclopi che iniziavano ad apprezzare i vantaggi della socialità e dell’agricoltura.
E’ quindi assai verosimile che questi abbiano fatto propri gli usi e i modi di vita dei Sicani, sino ad essere da questi assimilati divenendo, in poco tempo, Sicani anch’essi.
Scomparvero i Ciclopi, quindi, poiché scomparvero i loro costumi e i loro gruppi familiari isolati. L’abitudine agli usi sicani fece sì che l’isola mutasse il proprio nome in Sicania.
I Sicani non ebbero modo di osservare più nulla che ricordasse i Ciclopi, anzi, vendendo ovunque solo costumi, usanze, arte e segni sicani, si vantarono, com’era abitudine tra i popoli in quei tempi, di essere autoctoni, cioè indigeni.
Peraltro è noto che per gli antichi venivano considerate autoctone quelle popolazioni più antiche dei più vecchi documenti. In questo senso i Sicani potevano benissimo dirsi indigeni la cui memoria si perdeva nei tempi più oscuri della Sicilia.

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