Davide Camarrone: Zen al quadrato

di Mauro Mirci

Zen al quadrato è un piccolo gioiello letterario, di scrittura lieve e veloce, ma di sostanza grave come il dolore per l’irrealizzabilità di un sogno o la scomparsa di una persona amata. Una storia raccontata da quattro personaggi appartenenti alla stessa famiglia. L’inizio coincide con il trasloco della famiglia dalla casa di Castello San Pietro, storico quartiere palermitano devastato da bombardamenti e terremoti. Filippo, sentito il nome della destinazione – Zen 2 – lo declina secondo il proprio talento nel rappresentare fatti, persone e oggetti. Così Zen 2 diventa Zen al quadrato. Come dire: i problemi del primo Zen elevati potenza. Filippo frequenta il liceo artistico e possiede un talento capace di indispettire i benpensanti. Sta a cassone sul “lapino” dove è accatastata parte delle masserizie. Saluta a voce alta il vecchio quartiere: ti sa-lu-to, scandisce. Sarà un saluto più volte ripreso in ognuna delle quattro parti di cui si compone il romanzo – una per ogni personaggio e punto di vista – quasi a fungere da fil-rouge utile a tenere insieme una trama che, comunque, mai cede e mostra debolezze. Filippo, il figlio, Lucia, la madre, Nicola, il padre, e Rosalia, la nonna. Ognuno racconta la sua vita e la sua esperienza con il nuovo quartiere. Già dal racconto di Filippo, tutto concentrato sul presente, s’intuiscono piccole contraddizioni e contrasti. La madre, impegnata nel sociale e nel coinvolgere le donne dello Zen 2 in attività di autocoscienza e miglioramento; e pure in conflitto con i rappresentanti locali del partito comunista, che non condividono le provocazioni e i messaggi che la donna vuole trasmettere. Lucia è comunista, apre, tra molte difficoltà, un centro di ascolto, decide di stampare un giornale. E proprio il giornale sarà l’occasione di contrasto con i referenti del partito, a causa di alcune immagini che Filippo inserisce nella matrice di stampa: persone nude a testa in giù. Ma la prospettiva rivoluzionaria era stata accantonata ormai da anni dal Comitato Centrale del partito; parole del vicesegretario di sezione. Del giornale non se ne fa più nulla. Le copie stampate – la maggior parte – finiscono nelle Vampe di San Giuseppe, assieme a mobili vecchi e una Fiat 126 col serbatoio pieno. Le Vampe di San Giuseppe, rappresentate quasi come un rito tribale di liberazione dalla colpa, altro elemento unificante dei quattro racconti. La lettura di ognuno di essi è il superamento di un livello di avvicinamento al nucleo nascosto nella storia di ognuno. Lucia descrive il suo rapporto con il nuovo quartiere e il progressivo allontanamento dal marito, senza che ciò si trasformi in abbandono. Nicola, democristiano e uomo che non riesce ad affrancarsi completamente da un passato di ladro e “traffichino”, non cattivo, ma inerte rispetto al male, ai piccoli e grandi riti e usi mafiosi, alla cattiveria che lo circonda, incapace di reazioni e di reali moti d’orgoglio. E infine Rosalia, la nonna, che rivela il passato più antico della famiglia, e le storie dei due componenti scomparsi: Mario, suo marito, antifascista fuggito in Argentina e poi rientrato. E Giovanni, il primo figlio di Lucia e Nicola, la cui esistenza non è mai stata rivelata a Filippo – che infatti la ignora – e la cui scomparsa rappresenta il pesantissimo nòcciolo di dolore attorno al quale ruotano le vite di tutte e quattro le voci narranti.
Pagina dopo pagina, la storia, complessa e disturbante, della famiglia, emerge e si completa; come tessere di un mosaico il quadro complessivo va componendosi. L’ultima pagina, infine, lascia in bocca il sapore della commozione e nel cuore la certezza di aver letto una storia struggente.

Davide Camarrone, Zen al quadrato. Sellerio ed., Palermo.

 

 

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