Si può fare, un saggio di Fausto Carmelo Nigrelli sulla sua esperienza di sindaco

di Mauro Mirci

Dopo aver letto questo libro in bozza, mi è necessario una rilettura un po’ più attenta per parlarne. Tra l’altro, non è facile esprimere un giudizio – anche se non un giudizio critico in senso stretto – su un testo che è, sì, saggistico, ma narra anche un periodo importante della vita di chi sta scrivendo queste parole e, per questo, non è sicuro di possedere il necessario distacco e una sufficiente visione d’insieme.
Ma non scrivere qualcosa su questo libriccino che Fausto Carmelo Nigrelli ha affidato ai tipi del Il Mio Libro, è ingeneroso. Mi riservo, questo sì, di scriverne in maniera più compiuta più avanti, quando non solo avrò riletto per bene tutto (eh sì, le riletture, a volte, sono più faticose delle letture, perché bisogna superare i propri giudizi della prima volta) ma avrò anche maturato alcune riflessioni che, per adesso, stanno lì, incomplete e prive delle parole giuste per venire alla luce, diciamo che transitano più dalle parti dello stomaco che delle meningi, in posizione inidonea per essere partorite seduta stante su un programma di videoscrittura.

Una prima cosa, però, credo sia da sottolineare. L’idea della narrazione. Fare della città un fatto narrativo, darle un’identità e un’anima spendibili nell’immaginario collettivo, adatta a formare un’immagine collettiva consolidata e ulteriormente consolidabile nel tempo sia a livello locale (nella popolazione residente, cioè) sia al di fuori della cinta muraria. E, in quest’ultimo caso, questa identità narrabile coincide fatalmente con il brand. Ossia quell’elemento che, sostanzialmente, fa coincidere l’immagine del prodotto con la quella del suo marchio esposto al pubblico. Ora, per rimanere dalle parti di Piazza Armerina (che poi sarebbe, alla luce di quanto ho appena scritto, il prodotto e la protagonista del libro di Nigrelli), l’idea di lanciarla sul mercato nazionale e internazionale del turismo associando la città e i suoi siti di interesse a “marchi” identitari forti e consolidati, ben riconoscibili dai potenziali utenti, mi pare positiva e non mancano certo precedenti di buoni risultati sia dal punto di vista dell’immagine, sia dal punto di vista turistico. Per andare a esempi lampanti e noti a tutti, Roma col suo Colosseo, Pisa e la sua Torre, Siena e il suo Palio, Verona e l’Arena, rappresentano il punto di arrivo di un processo che dovrebbe portare a identificare, sul mercato delle città d’interesse storico e turistico, Piazza Armerina con la Villa del Casale, col Palio dei Normanni, con il suo centro storico barocco.

Più difficile rimane l’impedire che la narrazione si corrompa nel mito, nella leggenda spendibile solo a livello locale, in narrazioni “di autoconsumo” buone ad alimentare sentimenti campanilistici e di fatuo orgoglio cittadino. Fatuo perché la narrazione dell’età dell’oro va bene per alimentare la certezza di nobili provenienze dinastiche, ma se disgiunta da un presente dignitoso e da una sufficiente certezza dell’onestà delle fonti rischia di tradursi in patetiche pratiche di autoincensamento.

Ecco, impedire che alla narrazione del reale venga opposta quella del mito è pratica ben più difficile che il narrare e basta. Perché, si sa, il mito e più affascinante, più appetibile (come oggetto narrativo), del quotidiano e del tecnico. I politici delle storielle d’antan che promettevano strade, ponti, scuole, fognature, pensioni, posti di lavoro, questo lo sapevano bene, e mai si sarebbero avventurati in dettagli tecnici sulla struttura di un ponte o sulla sostenibilità economica di pensioni e posti di lavoro. Basta la parola, come prometteva una pubblicità della mia infanzia, anche perché, al di là della parola, in genere, c’era ben poco d’altro.
Ecco, questo è la dicotomia sulla quale sarebbe interessante indagare e riflettere: la realtà e il mito. E, necessariamente, la loro narrazione e il modo in cui la realtà si converte in un mito che, il più delle volte, non presenta nemmeno caratteristiche di realismo.

E questo, almeno per adesso, è quanto.
Ringrazio mister Glenn Gould che ha accompagnato queste brevi riflessioni con l’esecuzione delle variazioni Goldberg

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