di Mauro Mirci
Stefano Amato si porta appreso il fardello pesante dell’essere siciliano senza sentircisi. A occhio e croce (e senza stare tanto a sindacare se Amato ne sia consapevole) è una caratteristica che lo accomuna al protagonista del suo secondo romanzo, “Le sirene di Rotterdam”, Dino Crocetti, ventenne siracusano (come Amato, che però ha qualche anno in più) affascinato dagli artisti ebrei del ‘900 e dai loro pseudonimi. Nel romanzo ne sono elencati parecchi, e ne viene fuori una piccola apologia semita quando ci si rende conto che molto del buono che il cinema, la letteratura e la scienza del secolo scorso hanno prodotto viene da lì, dai discendenti del Popolo Eletto, uomini e donne spesso agnostici, in perenne conflitto con le proprie radici etniche e religiose.
“Stato pensando di diventare ebreo, dice Dino
E come mai, se è lecito saperlo? (è la madre di Dino che parla)
Tanto per cominciare, le persone più intelligenti che conosco sono ebree.
Fammi capire, ci sono molti ebrei a Sircusa?
Non lo so, non credo. Io mi riferivo ad altra gente. Bob Dylan, Philip Roth, i fratelli Marx.
E ovviamente tu conosceresti Bob Dylan, quel porco di Roth e i fratelli Marx.
Non è che li conosco. Ho letto i loro libri, ascoltato i loro dischi, visto i loro film.
E secondo te, leggere il libro di qualcuno equivale a conoscerlo.
Non lo so mamma, credo di sì.”
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